I guerrieri indietreggiano, perdono terreno, voltano le spalle al nemico che attacca dall'alto di un colle, fuggono.
Il loro condottiero rimane da solo ma non smette di combattere. il nemico lo accerchia e lo uccide.
I vincitori esaltati dal suo sangue e dal trionfo si lanciano alla conquista della sua città, del suo sogno, e la cancellano dalla storia. Il nome del morto è Romolo. La città conquistata e distrutta è Roma.
IL RATTO DELLE SABINE Una scena del genere, grazie al cielo, non si è mai vista, è semplice frutto della fantasia. Romolo non morì in battaglia e Roma, se ne facciano una ragione i suoi pochi e tristi detrattori, è sopravvissuta, è giunta fino al terzo millennio e, come ogni grande città, ha vissuto la sua storia con splendori e miserie, meriti e colpe, pregi e difetti.
Questa bruttissima fantasia, però, rischiò di tramutarsi in realtà.
La città era giovane e forte ma il suo futuro incerto poichè la sua popolazione era poverissima di donne.
"Roma era ormai così potente che poteva permettersi di competere militarmente con qualunque popolo dei dintorni. Ma per la penuria di donne questa grandezza era destinata a durare una sola generazione, perché essi non potevano sperare di avere figli in patria né di sposarsi con donne della zona." Livio - Storia di Roma, Libro I
Re Romolo tentò di risolvere il problema e di far felici i suoi sudditi inviando ambasciatori presso i popoli vicini per proporre alleanze e matrimoni misti. Gli ambasciatori non ottennero risposte favorevoli, i vicini infatti disprezzavano e temevano la giovane Roma. Romolo decise di cambiare strategia e di procurare a Roma le donne con l'inganno.
Il sovrano organizzò dei giochi in onore di Nettuno e invitò i popoli vicini ad assistervi.
"I Sabini, poi, vennero al completo, con tanto di figli e consorti. Invitati ospitalmente nelle case, dopo aver visto la posizione della città, le mura fortificate e la grande quantità di abitazioni, si meravigliarono della rapidità con cui Roma era cresciuta." Livio - Storia di Roma, Libro I
Al momento stabilito i romani si disinteressarono dello spettacolo e cominciarono ad aggredire le donne presenti per rapirle.
"..scoppiò un tumulto e la gioventù romana, a un preciso segnale, si mise a correre all'impazzata per rapire le ragazze." Livio - Storia di Roma, Libro I
BATTAGLIE VINTE La reazione dei parenti delle rapite non tardò. I popoli vittime del ratto, tranne i Sabini, si organizzarono velocemente.
I vicini di Roma, Uno dopo l'altro, mossero guerra alla nuova città e, uno dopo l'altro, vennero sconfitti.
Secondo Livio Romolo iniziò, in questa occasione, a deporre le armi degli sconfitti presso una quercia sacra che svettava sul Campidoglio. Il Re tracciò attornò all'albero i confini di un'area sacra, fondando il tal modo il Tempio di Giove Feretrio.
La città cominciò ad ingrandirsi assorbendo al suo interno gli sconfitti, in particolar modo i parenti delle donne rapite, e iniziò ad inviare coloni verso i territori un tempo appartenuti ai popoli vinti in battaglia.
ROMANI E SABINI I Sabini del re Tito Tazio, rimasti inattivi, decisero a questo punto di dichiarare guerra ai romani e, grazie al tradimento della giovane romana Tarpeia, riuscirono, intorno al 750 aC, ad impadronirsi del Campidoglio.
Roma venne profanata. La città, fatta di povere capanne di legno e paglia e difesa da un semplice muro, venne divisa.
L'Urbe si trovò in grave pericolo, possiamo immaginare il disappunto, forse il timore, dei suoi guerrieri e del suo re.
Romolo davanti al capi delle famiglie. Vesti umili di pastori e contadini al posto delle candide toghe delle epoche future.
Nel primitivo Senato discussioni e incertezze, rabbia e paura, grida e minacce, richieste di azione e inviti alla calma. Per le primitive viuzze del villaggio il popolo in attesa, nelle capanne le donne sabine incerte tra i vecchi padri addolorati e i nuovi mariti rapitori.
Quindi la decisione del Re e la risposta all'attacco.
ROMOLO E GIOVE Il primo esercito di Roma si radunò alle pendici del Palatino, davanti la valle del Foro e più in la il Campidoglio con, in alto, i pericolosi Sabini.
I Romani, in posizione svantaggiata ed esposti al nemico, si trovarono presto in difficoltà e cominciarono ad indietreggiare, spostandosi lungo il tracciato della via Sacra verso la porta Mugonia e il Palatino.
"Romolo stesso, trascinato dalla massa dei soldati in ritirata, sollevando le armi al cielo, gridò: «O Giove, è per obbedire al tuo volere che ho gettato le prime fondamenta di Roma proprio qui sul Palatino. Ormai la cittadella è in mano ai Sabini
che l'hanno conquistata nella più turpe delle maniere. Di lì, attraverso la vallata, stanno avanzando armati verso di noi. Ma tu, padre degli dèi e degli uomini, tieni lontani almeno da qui i nemici, libera i Romani dal terrore e frena questa loro vergognosa ritirata! Prometto che qui, o Giove Statore, io innalzerò un tempio per ricordare ai posteri che è stato il
tuo aiuto inesauribile a salvare la città»." Livio - Storia di Roma, libro I
E' a questo punto che la scena descritta all'inizio, per la gioia di chi scrive e non solo, perse ogni possibilità di realizzazione.
Romolo infatti ordinò ai suoi guerrieri di riprendere la battaglia e, per primo, si lanciò nello scontro. i Sabini persero ogni possibilità di assaltare il palatino, i Romani riuscirono a ribaltare le sorti dello scontro e misero in grande difficoltà i nemici. Gli antenati dei legionari di Scipione e Cesare, guerrieri più per la sopravvivenza che per la gloria, erano ormai prossimi al trionfo quando le donne contese irruppero nella zona del futuro Foro romano, campo di quella battaglia.
"Fu in quel momento che le donne sabine, il cui rapimento aveva scatenato la guerra in corso, con le chiome al vento e i vestiti a brandelli .. non esitarono a buttarsi sotto una pioggia di proiettili e a irrompere dai lati tra le opposte fazioni per dividere i contendenti e placarne la collera. Da una parte supplicavano i mariti e dall'altra i padri. Li imploravano di non commettere un crimine orrendo macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di non lasciare il marchio del parricidio nelle creature che esse avrebbero messo al mondo," Livio - Storia di Roma, Libro I
Gli appelli accorati delle donne estinsero la sete di sangue dei guerrieri. La battaglia cessò e la disputa tra Romani e Sabini si concluse con la fusione dei due popoli e il trasferimento dei secondi a Roma. In cambio i Romani assunsero l'appellativo di Quiriti, dalla città sabina di Cures.
Da quel momento Romolo e Tito Tazio divisero il trono e regnarono insieme.
LA PROMESSA DI ROMOLO A cambiare le sorti del conflitto e probabilmente la storia di Roma e del mondo antico, secondo la tradizione, fu l'invocazione di Romolo a Giove.
Il re non dimenticò la sua preghiere e attribuì la salvezza della sua città a Giove. Il dio aveva fermata la fuga dei romani e per questo venne indicato come Statore, Juppiter stator. Stator in latino infatti significa "colui che ferma".
Il culto di Giove capace di fermare gli eserciti in fuga era noto anche a vari popoli italici, come gli Osci e gli Umbri.
Romolo rammentò la promessa fatta al dio e consacrò una porzione del territorio romano al culto di Giove Statore.
L'area sacra si trovava presso la porta Mugonia, dove, appena al di le delle mura cittadine, si incotravano la summa Sacra via e la summa Nova via e dove erano avvenuti la preghiera e il miracolo.
IL TEMPIO DI GIOVE STATORE Il luogo, nel corso dei secoli, visse numerosi cambiamenti.
L'iniziale fanum, altare circondato da una staccionata o da un basso muro, venne sostituito intorno al 294 da un vero e proprio tempio, in seguito alla vittoria riportata da Attilio Regolo durante la battaglia di Luceria con un'invocazione simile a quella di Romolo.
Il tempio di età repubblicana fu muto testimone di uno dei momenti più noti della storia romana, quello delle accuse rivolte al cospiratore Catilina, da Cicerone, aguzzino di tanti studenti, nel corso della sua prima catilinaria.
Cicerone scelse questa sede per la sua orazione probabilmente per motivi di sicurezza. Il tempio si trovava infatti, nel clima teso e pericoloso di quei giorni difficili e torbidi per Roma, a pochi passi dall' abitazione del grande oratore.
Il tempio, per ospitare una seduta del Senato, doveva essere piuttosto grande, oggi però non se ne conoscono le dimensioni precise.
L'edificio venne prima restaurato in epoca augustea e quindi distrutto dall'incendio che devastò Roma all'epoca di Nerone, nel 64 dC e ricostruito, forse in una sede differente.
Il rilievo degli Haterii (antica famiglia romana di costruttori), risalente all'epoca dell'imperatore Domiziano (fine del I secolo dC), probabilemnte ritrae il tempio di Giove Statore. La raffigurazione descrive un tempio esastilo (con sei colonne sulla fronte), con decorazioni in stile corinzio e aperto sulla strada. Tre le due colonni centrali si innalza la statua di Giove, l'antica divinità tiene il fulmine nella mano destra e lo scettro nella sinistra.
IL TEMPIO DIMENTICATO
Morti i culti pagani e finito l'impero romano, il tempio venne dimenticato.
L'edificio attirò la curiosità degli eruditi rinascimentali che, nel XV e nel XVI secolo, avanzarono ipotesi fantasiose sulla sua localizzazione e, successivamente quella dei primi archeologi, tra i quali Pietro Rosa.
Rosa effettuò scavi sul palatino tra il 1861 e il 1870.
Questo studioso rinvenne, sulla destra della via che sale verso la Domus Flavia, un podio, lungo quasi cinquanta metri e largo ventiquattro per'un'altezza di tre, e ritenne di aver individuato l'ultima testimonianza dell'antico tempio perduto.
L'ipotesi, inizialmente accolta con favore, venne abbandonata dopo la scoperta di un nuovo podio a sud-est dell'arco di Tito, identificato come resto del Tempio.
Addirittura si negò al podio ritrovato da Rosa la dignità di tempio, venne infatti retrocesso da alcuni studiosi al ruolo di "Vestigia munitionum medii Aevi".
L'arco di Tito sullo sonfo del Foro Romano
Sorte simile toccò però anche al podio scoperto presso l'arco di Tito. L'edificio sostenuto dal podio non era un tempio.
La topografia dell'antica Roma è stata particolarmente studiata di recente.
Sulla posizione del tempio, e di molti edifici antichi, sono state avanzate nuove ipotesi dagli studiosi.
Il tempio di Giove Statore, secondo l'archeologo Filippo Coarelli, si trovava presso il tempio di Antonino e Faustina e la Basilica di Massenzio, dove oggi sorge il Tempio di Romolo, lungo la via Sacra. Questa ipotesi però non convince tutti gli studiosi.
Il dibattito sulla collocazione del tempio di Giove Statore è evidentemente acceso e va avanti da secoli.
Tempio di Antonino e Faustina
SCOPERTE RECENTI Oggi, perà, per questo enigma archeologico potrebbe essere stata finalmente trovaya una soluzione.
Gli archeologi dell'università "La Sapienza" di Roma diretti da Andrea Carandini e da Paolo Carafa, hanno rinvenuto,all'inizio del 2013, i resti di un edificio, probabilmente risalente al II secolo aC., che sembra racchiudere in se tutte le caratteristcihe del tanto agognato Tempio di Giove Statore.
L'annuncio del prezioso, e forse definitivo ritrovamento, è stato dato attraverso le pagine della rivista specializzata "Archeologia Viva" e ben presto si è diffuso in tutto il mondo.
Il tempio si trova alle pendici del Palatino, preso il muro di Romolo, la cui scoperta si deve allo stesso Carandini, dove si apriva l'antica porta Mugonia e dove l'antica città di Roma terminava.
Il culto di Giove Statore era "terminale", dedicato ai confini e alla loro difesa, e quindi doveva svolgersi presso il confine della città. La recente scoperta archeologica e le conoscenze storiche sembrano evidentemente coincidere su questo punto.
Il tempio di giove rinvenuto nel 2013 - Foto non realizzata dall'autore del testo
Secondo Carandini e Carafa il culto primordiale di Giove Statore nacque nel luogo successivamente occupato dal tempio, quindi sul Palatino, e in seguito all'incendio di età neroniano si spostò sulla Velia.*
Durante gli scavi sono stati rinvenuti un altare, utilizzato tra IV e III secolo aC e realizzato con blocchi di tufo, e, nelle fosse vicine, materiali votivi, tra cui un vaso miniaturizzato.
Nei pressi dell'area sacra sono emersi anche i resti di una prestigiosa dimora di età sillana (II-I secolo aC).
Forse si tratta dell'ultima dimora di Giulio Cesare, quella in cui il generale e politico romano trascorse gli ultimi giorni di vita prima della morte alle idi di marzo del 44 aC.
UNA LUCE NEL BUIO Gli scavi nell'area vanno avanti. La conferma dei risultati già ottenuti, a proposito del tempio e della domus, rappresenterebbe un grande risultato lungo il cammino di ricostruzione dell'antichità romana, un risultato capace di fare un po' di luce sui secoli più e mneo remoti e più o meno oscuri della millenaria storia della città eterna.
* Il colle della Velia fronteggiava, fino a pochi decenni fa, il Palaltino. Venne eliminato in epoca fascista per lasciare spazio all'attuale Via dei Fori imperiali.
Link Utili:
La fondazione di Roma
Pagina dedicata alla scoperta sul sito www.archeologiaviva.it
La scoperta del tempio sul sito www.iltempo.it
La scoperta del tempio sul sito www.repubblica.it
di Stefano Rosati